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Una nuova scoperta degli studiosi della Fondazione Università Gabriele d'Annunzio pubblicata sulla prestigiosa rivista PNAS
Data: 15/10/2009
Negli ultimi anni la ricerca ha mostrato che anche quando siamo ad occhi chiusi, senza eseguire alcun compito o essere stimolati dall’esterno, il nostro cervello consuma un elevato budget energetico e mostra una intensa attività intrinseca organizzata in una vera e propria architettura funzionale (la cosiddetta “connettività funzionale a riposo”), la quale sembra formarsi nell’età dello sviluppo e rimanere stabile nell’età adulta.
Un recentissimo studio, condotto presso l’Istituto Tecnologie Avanzate Biomediche (ITAB) di Chieti, diretto dal fisico Gian Luca Romani, ha dimostrato che l’apprendimento di nuove abilità è in grado di scolpire questa architettura funzionale, facendo luce, per la prima volta, sulla funzione della attività cerebrale a riposo.
Attraverso la risonanza magnetica funzionale, il team di studiosi, coordinato dal professor Maurizio Corbetta della Washington University di St. Louis, ha misurato in un gruppo di 14 volontari l’attività spontanea a riposo del cervello, prima e dopo un periodo di 7 giorni di allenamento in un difficile compito di ricerca e discriminazione visiva. L’apprendimento ha indotto una modificazione della connettività funzionale spontanea tra le regioni visive e quelle fronto-parietali deputate al controllo dell’attenzione. Acquisire nuove competenze indurrebbe delle modificazioni delle relazioni tra diverse regioni del cervello che a riposo lavorano in concerto. Da ciò deriva l’importante scoperta che la connettività funzionale a riposo non riflette solamente la connettività anatomica ma anche le nostre esperienze precedenti, e quindi che l’attività intrinseca del nostro cervello possa supportare le operazioni di elaborazione di queste esperienze.
I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, USA, suggeriscono dunque che nell’attività cerebrale spontanea, intrinseca, ci potrebbero essere “tracce” delle nostre esperienze personali, della nostra storia e dei nostri vissuti. Infatti, Chris Lewis & Antonello Baldassarre, primi co-firmatari dell’articolo, sottolineano il dato che i soggetti che hanno appreso meglio il compito di discriminazione visiva, hanno mostrato una maggiore modificazione della propria attività cerebrale intrinseca.
Imparare a cercare e discriminare stimoli nell’ambiente, continua Giorgia Committeri, ricercatrice di Psicobiologia presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti, ha un elevato valore adattivo che potrebbe essere consolidato proprio grazie all’attività cerebrale intrinseca, spontanea.
Comprendere il ruolo dell’attività spontanea del cervello, conclude il neurologo Corbetta, potrebbe dimostrarsi molto importante per capire come la conoscenza viene codificata, mantenuta e utilizzata dal cervello e di acquisire conoscenze su malattie invalidanti nelle quali l’attività cerebrale spontanea è fortemente alterata, come il morbo di Alzheimer e gli ictus cerebrovascolari.

Interviene sulla ricerca condotta all’Itab, uno degli autori: la dottoressa Giorgia Committeri

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